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3 agosto 2014 7 03 /08 /agosto /2014 18:52
Il nostro cervello è fatto per dare un senso a ciò che vediamo, ascoltiamo, odoriamo, tocchiamo e assaggiamo. E’ in grado di aggiungere i pezzi realmente mancanti o che sfuggono alla nostra percezione con ciò che ci aspettiamo sia il quadro d’insieme. Ma per quanto il nostro cervello abbia capacità sorprendenti nel processare le informazioni che ci circondano, quanto possiamo fidarcene?

Torna Jason Silva e torna Cosa ti dice il cervello?, un viaggio alla scoperta del funzionamento dei processi interni alla nostra mente.

Come mettiamo a fuoco? Perché abbiamo paura? Come funzionano i processi decisionali? Cos'è il "fitness neurale"?
A queste e altre domande risponderà la terza stagione di Cosa ti dice il cervello?. Una sfida divertente e profondamente rivelatrice dei tre chili e mezzo di tessuto cerebrale che ci rendono unici.

GUIDA AGLI EPISODI

  • Cosa ti dice il cervello?: Se la memoria non m'inganna...
    La memoria è una funzione fondamentale del nostro cervello. Alcuni scienziati spiegano come è possibile recuperare le informazioni che la memoria raccoglie durante la nostra vita.
  • Cosa ti dice il cervello?: Attrazione fatale
    Attraverso giochi interattivi, scopriamo tutto sull'attrazione e le 'formule' che ci spingono a considerare attraente una persona. Inoltre quali sono i segreti di una relazione a lungo termine?
  • Cosa ti dice il cervello?: Stress test
    Scopriamo tutto sullo stress: come viene gestito dal nostro cervello e quanto ci condiziona la vita? Dalle bollette al traffico, quali sono le situazioni che mettono a dura prova il nostro cervello?
  • Cosa ti dice il cervello?: Vinca il migliore!
    Dalla voglia di diventare capoclasse a guadagnare una promozione, ogni giorno è ricco di competizioni. Come si comporta il cervello umano quando vuole a tutti i costi raggiungere un obiettivo?
  • Cosa ti dice il cervello?: Riprogramma la mente
    Migliorare i dispositivi elettronici è possibile: ma sarebbe possibile fare la stessa cosa con il cervello umano? Attraverso giochi interattivi, scopriamo come 'migliorare' il cervello.
  • Cosa ti dice il cervello?: Connessioni di testa
    Il nostro corpo e la nostra mente sono connessi in numerosi modi. Scopriamo come le due entità spesso lavorino simultaneamente e come, altre volte, diventino quasi 'nemici'.
  • Cosa ti dice il cervello?: Leader o seguace?
    Molto spesso, il nostro comportamento è condizionato dalle altre persone. Attraverso una serie di esperimenti e giochi interattivi, scopriamo le caratteristiche di un leader e di un seguace.
  • Cosa ti dice il cervello?: Il cibo del pensiero
    Attraverso giochi interattivi ed esperimenti, scopriamo da cosa è causata la fame e perché a volte mangiamo più del necessario. Quanto influisce il nostro cervello su questo processo?
  • Cosa ti dice il cervello?: Questione di tempo
    Può fare la differenza fra un disastro e un miracolo. Passa più in fretta quando ci si diverte mentre non passa mai quando siamo in pericolo. Come viene percepito il tempo dal nostro cervello?
  • Cosa ti dice il cervello?: Metti a fuoco
    Il nostro campo visivo è reale o il nostro cervello presta attenzione solo ad alcune cose che accadono proprio di fronte a noi? Scopriamo su cosa si focalizza il nostro cervello.
  • Cosa ti dice il cervello?: Abbiate paura!
    Quando abbiamo paura, spesso siamo in balia del nostro cervello. Ma una salutare dose di panico può essere salutare? Scopriamo tutto ciò che riguarda la paura per scoprire cosa provoca in noi.
  • Cosa ti dice il cervello?: Azione e reazione
    In un mondo in costante movimento, il nostro cervello ha dovuto sviluppare un sofisticato senso del movimento. Indaghiamo sulla scienza che sta alla base del meccanismo di azione e reazione.
  • Cosa ti dice il cervello?: Il potere della persuasione
    Il nostro cervello è manipolato dal marketing e dalla pubblicità. Analizziamo i diversi aspetti della persuasione, indagando sulle tecniche usate per influenzare le nostre decisioni.
  • Cosa ti dice il cervello?: Non crederai ai tuoi occhi
    Ciò che vediamo è reale? Non necessariamente: la nostra percezione, infatti, può essere sorprendente. Indaghiamo su come il nostro cervello sia in grado di trasformare le cose.
  • Cosa ti dice il cervello?: Fai la tua scelta!
    Siamo davvero padroni del nostro destino? Grazie a sorprendenti esperimenti, un team di esperti spiega che le decisioni che prendiamo spesso non sono così affidabili e sicure come sembrano.
  • Cosa ti dice il cervello?: Allena il cervello!
    Recenti ricerche affermano che il nostro cervello non è differente dai muscoli del nostro corpo: infatti, ha bisogno di allenamento. Come è possibile allenare la concentrazione e la memoria?
  • Cosa ti dice il cervello?: Conflitto generazionale
    Il nostro corpo e il nostro cervello si deteriorano col tempo. Ma studi recenti mostrano che le cose potrebbero essere differenti: alcune funzioni cerebrali funzionano meglio con l'età.
  • Cosa ti dice il cervello?: Il colore del colore
    Abbiamo mai riflettuto sui colori che vediamo ogni giorno? Le mele sono realmente rosse e le foglie verdi? Attraverso una serie di giochi ed esperimenti, scopriamo una scioccante verità.
  • Cosa ti dice il cervello?: Un GPS mentale
    Il nostro cervello possiede una sorta di 'sistema di navigazione' che gli permette di orientarsi. Attraverso giochi ed esperimenti, analizziamo la nostra 'consapevolezza spaziale'.
  • Cosa ti dice il cervello?: Fidarsi è bene ma...
    Come facciamo a sapere se possiamo fidarci? Grazie a giochi divertenti e interattivi, scopriamo come è possibile fidarci un po' più degli altri... e un po' meno del nostro cervello.
  • Cosa ti dice il cervello?: Perché mentiamo?
    E' qualcosa che facciamo ogni giorno: mentire. Quante volte diciamo bugie e perché lo facciamo? Scopriamo quali sono i processi seguiti dal nostro cervello su questo argomento.
  • Cosa ti dice il cervello?: Mettiti in gioco
    Spesso non siamo così brillanti come pensiamo. Riuscireste a spiegare come funziona una zip? O a disegnare semplicemente una bicicletta? Mettiamo alla prova il nostro cervello!
  • Cosa ti dice il cervello?: Illusioni ottiche
    Molte persone pensano che le illusioni ottiche siano un inganno. Scopriamo invece come esse siano importanti per capire i potenti meccanismi che consentono di percepire il 3D.
  • Cosa ti dice il cervello?: La guerra dei sessi
    E' vero che gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere? O le differenze fra generi sono il risultato di condizionamenti culturali? La risposta potrebbe lasciarci senza parole...
  • Cosa ti dice il cervello?: A me gli occhi!
    Grazie ad un'analisi di alcuni scienziati, tentiamo di capire come maghi e illusionisti riescano a focalizzare l'attenzione umana per realizzare le loro incredibili performance.
  • Cosa ti dice il cervello?: Non è come sembra
    Colori, luci e movimenti sono costruiti all'interno del nostro cervello, e sono facilmente manipolabili. Sveliamo quali sono i trucchi utilizzati dai registi per creare avvincenti illusioni.
  • Cosa ti dice il cervello?: Non ? come sembra
    Colori, luci e movimenti sono costruiti all'interno del nostro cervello, e sono facilmente manipolabili. Sveliamo quali sono i trucchi utilizzati dai registi per creare avvincenti illusioni.
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3 agosto 2014 7 03 /08 /agosto /2014 10:27

 

1 - RENDE PIÙ FELICI. John Ratey, psichiatra della Harvard Medical School, nel suo libro Spark: The Revolutionary New Science of Exercise and the Brain, racconta di pazienti che dopo un anno di "cicloterapa" erano notevolmente migliorati da gravi forme di depressione. Insomma, gli scienziati che da anni studiano i benefici della bicicletta sul nostro cervello, sono concordi: pedalare abbassa lo stress e diminuisce la depressione. In una parola, regala felicità.

 

2 - CONTROLLA IL PESO (SPECIE NELLE DONNE). Un'ora di bicicletta fa bruciare fino 500 calorie. Secondo una ricerca pubblicata su Archives of Internal Medicine, che studiava gli effetti benefici della bicicletta su donne in premenopausa in sovrappeso, un'ora di bicicletta, più volte alla settimana, ha effetti dimagranti. 

 

3 - PROTEGGE IL CUOREDiversi studi provano che la bicicletta è utile per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e ne evita il peggioramento negli anziani. Il ciclismo, infatti, è uno sport di resistenza e pedalare rafforza gradualmente non solo il cuore ma anche la ventilazione polmonare.

 

4 - NON FA MALE ALLA PROSTATA. Non esiste un legame fra l'andare regolarmente in bici e l'insorgenza di problemi per la salute maschile, come da tempo si crede. Secondo un recente studio britannicodell'University College di Londra, i ciclisti non rischiano infezioni uro-genitali, disfunzione erettile, infertilità. I ricercatori hanno preso un campione di 5.300 ciclisti inglesi, fra i 16 e gli 88 anni, abituati a stare in sella dalle 3 alle 9 ore alla settimana per valutare le probabilità di ammalarsi di queste patologie. E i risultati ottenuti sono tranquillizzanti. Al contrario, andare in bicicletta fa bene alla zona pelvica perché attraverso la pompa muscolare delle gambe viene attivata la circolazione venosa.

 

 

5 - NON DANNEGGIA LE ARTICOLAZIONI. A differenza della corsa, il ciclismo è un sport a basso impatto: pedalando, non esercitiamo pressioni sulle articolazioni degli arti inferiori. Ecco perché è indicato per le ginocchia. Inoltre, come riporta una ricerca francesce pubblicata su Journal of Electromyography and Kinesiology, effettuata su chi pratica mountain bike, rafforza tutti i muscoli delle gambe. Concludendo: chi va in bici migliora il metabolismo muscolare a vantaggio soprattutto di glutei, cosce e polpacci. Non solo. Rafforza anche i muscoli e le ossa della zona dorsale, quindi anche la schiena ne riceve benefici.

 

6 - DIMINUISCE L'AFFATICAMENTO. I ciclisti, nonostante la fatica che possono sopportare in lunghe e pendenti arrampicate, hanno maggior energia: secondo uno studio dell'Università della Georgia i livelli di energia di chi va in bici a ritmo moderato per almeno 3 volte a settimana, migliorano del 20%, mentre diminuisce l'affaticamento del 65%.

 

7 - ALLUNGA LA VITA. Più si pedala intensamente e più si allunga l'aspettativa di vita, soprattutto perché si evitano malattie cardiache. Lo sostiene uno studio danese: per le donne, dai 2 ai 3 anni in più, e per gli uomini, dai 4 ai 5 anni. Addirittura, i ciclisti del Tour de France vivono, in media, circa 8 anni in più rispetto ad altri sportivi. È il risultato di una ricerca pubblicata su International Journal of sport medicine.

 

Secondo stime effettuate sui 53 Paesi europei censiti dall'OMS, la sedentarietà provoca circa un milione di decessi l'anno.

 

 

 

Il casco salva la vita. 

 

8 - NON È PERICOLOSA (CON IL CASCO). La biciclettapuò essere pericolosa, soprattutto in città, a causa degli incidenti stradali e dell'inquinamento. Nel 2010, negli Stati Uniti, quasi 800 ciclisti sono stati uccisi e 515.000 sono finiti al pronto soccorso. Che fare? In primis, indossare un casco omolgato e della misura giusta.

 

Diverse ricerche più recenti, che cercano di chiarire vantaggi o svantaggi derivanti dall'uso della bicicletta, sono a favore della mobilità ciclistica: i benefici che la bici regala alla salute sono superiori ai rischi degli incidenti stradali e dell'esposizione agli inquinanti atmosferici.

 

9 - FA BENE AL PAESE. Secondo un recente studio pubblicato dallaCommissione economica per l'Europa dell'Onu (Unece) e dall'Ufficio regionale Oms per l'Europa, se le maggiori città europee investissero nelle due ruote e quindi nel "trasporto verde e sano", oltre 76.600 persone potrebbero trovare lavoro (nella vendita al dettaglio di biciclette, nella manutenzione, nella fornitura di abbigliamento e accessori per ciclisti). Inoltre si potrebbero salvare circa 10 mila vite. Se Roma adottasse lo stesso modello di bike sharing di Copenaghen (città leader in Europa con il 26% del trasporto in città su due ruote) potrebbero crearsi oltre 3.200 nuovi posti di lavoro e si potrebbero salvare 154 vite in un anno.

 

L'inattività fisica e lo smog sono tra i principali fattori associati alle morti in Europa: 500 mila ogni anno. L'utilizzo diffuso della bicicletta potrebbe essere la soluzione.

 

10 - CHI VA IN BICI, PIACE DI PIÙ. Affascinante, intelligente, ecologista, altruista, generoso. Secondo uno studio della British Heart Foundation, un quarto degli inglesi pensa che i ciclisti abbiano tutte queste doti. Insomma, è il cicilista il partner ideale, altro che il calciatore.

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2 agosto 2014 6 02 /08 /agosto /2014 17:25

Se ne parla da mesi, corrono le voci, rimbalzano i rumors in Rete. Ma come sarà fatto questo benedetto iWatch, il "dispositivo da polso" cheApple si appresta a lanciare sul mercato? Qualche dettaglio più concreto arriva ora dall'Ufficio Brevetti americano che, da qualche giorno, ha pubblicato la domanda di registrazione di Apple per un dispositivo (che qui, a dire il vero, viene chiamato iTime) da indossare al polso, pensato per funzionare sia "in autonomia" (per esempio, come lettore multimediale) sia abbinato agli altri prodotti di casa Apple.

 

 

 

Un'immagine dello smartwatch di Apple tratta dalla domanda di brevetto.
Un'immagine dello "smartwatch" di Apple tratta dalla domanda di brevetto. | U.S. PATENT AND TRADEMARK OFFICE

 

LETTORE PORTATILE. Il documento, "intercettato" dai soliti attentissimi blogger americani di Apple Insider eMashable, parla di un dispositivo "dotato di sensori, in grado di supportare i gesti del braccio e del polso", per esempio per consentire a chi lo indossa di rispondere a una chiamata in arrivo sull'iPhone (collegato in wireless). Il cinturino, dotato anche di ricevitore Gps e collegamento wi-fi, integra anche uno schermo touchscreen di forma quadrata che, volendo, può essere "sganciato" e usato come lettore portatile (come un iPod Nano, insomma). Proprio l'esigenza di ridisegnare il sistema operativo iOS su uno schermo di questo tipo, insieme alla necessità di rendere il tutto impermeabile, starebbero creando qualche difficoltà a Apple, con la conseguenza, secondo i soliti "rumors" di rimandare il lancio sul mercato a non prima di fine anno.

 

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2 agosto 2014 6 02 /08 /agosto /2014 17:11

Dietro di loro il campo è punteggiato di colonne di fumo. Non sai se è stata una cannonata oppure una delle mille trappole preparate da Hamas, tonnellate di esplosivo nelle case e sotto terra; depositi di missili; gallerie che saltano per aria, quelle che con un piano strategico Hamas aveva scelto di usare per attaccare Israele con le sue unità terroriste.

Così è la guerra di terra, ragazzi di 19, 20 anni s'inoltrano a Gaza e affrontano la battaglia, e la morte, per distruggere le armi di Hamas. Ogni tanto prendono fiato per qualche ora, ed è così che riusciamo a parlare con due soldati molto speciali perché sono italiani, della specie dei «soldati soli» che vengono per servire e lasciano i genitori a rodersi d'ansia a casa. I nostri due hanno dato un abbraccio alla mamma a Milano e a Roma e sono venuti convinti che valga la pena rischiare la vita, da noi un concetto quasi inesplicabile. Chi scrive ricorda che durante una lezione di storia mediorientale alla Luiss di Roma chiese ai ragazzi chi di loro avrebbe rischiato la vita per il proprio Paese: nessuno assentì, proprio nessuno.

I nostri due soldati si chiamano Leonardo, 25 anni, e Daniel, 20enne arruolato in Marina. Daniel è romano di origine livornese, la passione del mare l'ha nel sangue: «Adesso, dalla mia nave sorvegliamo e pattugliamo la costa di Gaza, controlliamo chi entra e chi esce, evitiamo che escano terroristi per attaccare le coste di Israele. È un compito fondamentale, il mare non ha confini sorvegliati, è senza fine, ci vogliono un allenamento perfetto e un'attenzione totale. A volte siamo bersagliati di razzi dalla riva e da altri battelli, allora hai un momento di paura, però ti mordi le labbra e pensi a quando tornerai in porto, e con i tuoi compagni riparlerai dell'accaduto, mangerai, forse potrai finalmente dormire, starai insieme agli amici, questo ti compensa di tutto, l'incredibile vicinanza fra di noi». Leonardo è laureato in filosofia al San Raffaele di Milano, poi ha preso un master all'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, a Roma. È appena finito il corso che il suo futuro l'ha visto solo in Israele e poi nell'esercito, e poi, ancora, nei Golani: «L'unità dei miei sogni, prove di ammissione e corsi molto difficili. All'inizio mi chiedevano se ero venuto perché avevo preso una botta in testa, ma adesso siamo un tutt'uno». Leonardo è appena uscito da Gaza: «Sono sporco, con gli abiti puzzolenti, gli occhi mi si chiudono, la mia ragazza mi lascerebbe subito se mi vedesse ora». Deve sistemare la sua attrezzatura (fucile, zaino, abiti) per essere pronto alla prossima missione. Non sa quando rientrerà, ma può capitare in ogni minuto. Essere un Golani è il mito di ogni israeliano, l'unità su cui si cantano canzoni epiche, in cui si è uno per l'altro ignorando l'ombra della morte. Dietro di lui tre settimane di giornate e nottate senza soluzione di continuità: «Dall'inizio dell'operazione non dormo in un letto, le ore di sonno non sono mai più di tre o quattro». Ma Leonardo non vuole parlare di sé: gli brucia spiegare di affrontare un nemico senza scrupoli nell'uso della sua gente: «Ho avuto l'impressione che i cittadini di Gaza siano autentici schiavi. Ho visto case in cui la camera dei bambini è adornata con fotografie dei terroristi, cartine da cui è cancellata Israele, stelle di Davide trasformate in svastiche, depositi di armi. Non un segno di umanità, di pace - dice desolato - Hamas è vile. Abbiamo fermato il fuoco molte volte perché un terrorista si copriva con un bambino, o perché comparivano donne e vecchi. Dietro arrivano i terroristi. Prima di entrare in azione tuttavia l'ultima indicazione che ti dà il comandante è di non puntare il fucile su chi non è armato, condividere il tuo stesso cibo e la tua acqua con chi non ha da mangiare o da bere, fermare tutto se appare un bambino». Due dei migliori amici di Daniel, Shon di 19 anni e Jordan, 22, il primo venuto da Los Angeles, il secondo da Parigi, per combattere, sono stati uccisi: «Jordan era fidanzato con la gemella della mia fidanzata. Sì sappiamo che la morte è una possibilità, ma non ci si pensa, io sto bene con i miei compagni» dice Daniel. La mia famiglia sta in pensiero, telefono ogni volta che arrivo in porto, circa due volte a settimana. Quelli che non capiscono cosa stiamo facendo devono venire per un paio di giorni a Ashkelon o in un kibbutz con scoppi, sirene, distruzioni, dove la gente non può uscire, i bambini devono restare nel sottosuolo, le famiglie non hanno più lavoro.. C'è un Paese che deve essere salvato, io sono qui per questo». A 20 anni? Leonardo ha una sua risposta: «Chi non si fida dei giovani dovrebbe dare un'occhiata da queste parti, la vita è nelle mani dei ragazzi. Il mio comandante ha 20 anni, ha perso il padre in un attentato, è una persona di un equilibrio e di un senso di responsabilità assoluti. Ieri eravamo in Libano, ora a Gaza, il compito è sempre grande, difendi un popolo che ti ama e ti rispetta. Persino i miei genitori, che mi mancano, sanno che qui la denominazione «chaial boded», «soldato solo», è sbagliata. Posso bussare ora alla porta di un kibbutz, chiedere di fare una doccia e dormire un po': si precipiterebbero in cucina, preparerebbero le cose migliori e mi riempirebbero di regali».

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31 luglio 2014 4 31 /07 /luglio /2014 18:54

C’è qualcuno lì fuori? È la domanda che tutti da sempre ci facciamo, ma più di tutti gli astronomi e gli appassionati di vita extraterrestre.

Se cerchiamo forme di vita alienanell’Universo sembra proprio che fino a oggi abbiamo sbagliato tutto, o almeno non abbiamo ottenuto chissà quali grandi risultati. Un gruppo di ricercatori de l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) ha ipotizzato, invece, che basterebbe cercare tracce di inquinamento nello spazio per trovare (magari) civiltà extraterrestri su altri mondi. Insomma, proprio come noi esseri umani inquiniamo il nostro pianeta e l’orbita circostante, anche qualche forma di vita aliena potrebbe fare (o aver fatto) lo stesso con il proprio pianeta. Dopo anni e anni di ricerche senza sosta, sembra che siamo vicini a rilevare segni di vita aliena su altri mondi.

Cosa hanno pensato i ricercatori? Studiando le atmosfere dei pianeti extrasolari possiamo trovare gas come ossigeno e metano che coesistono solo in presenza di vita microbiotica. Ma questi gas vengono anche da semplici forme di vita come i microbi. Il passo successivo è capire se ci sono (o ci sono state in un lontano passato) forme di civiltà avanzate come o più della nostra e se mai hanno lasciato un segno della loro presenza, come forme particolari di inquinamento.

Per offrire un nuovo approccio nella ricerca di intelligenza extraterrestre (SETI) verrà in aiuto il James Webb Space Telescope di NASA/ESA/CSA, il telescopio di nuova generazione che sostituirà Hubble e verrà lanciato nel 2018.

«Pensiamo che l’inquinamento industriale sia la prova di forme di vita intelligenti, ma è probabile che civiltà più avanzate non la pensino come noi, essendo poco furbo inquinare l’aria del proprio pianeta», ha detto Henry Lin, primo autore della ricerca pubblicata su The Astrophysical Journal.

Non è la prima volta nella comunità scientifica che si discute della ricerca di segni molecolari di vita primitiva nelle atmosfere dei pianeti extrasolari. «Abbiamo sempre cercato anche segnali radio e laser emessi da civiltà avanzate», ha spiegato a Media INAF Avi Loeb, ricercatore dell’Università di Harvard e co-autore dello studio.«Circa un anno fa ho avuto l’idea di cominciare a cercare prove di inquinamento industriale nello spazio oltre il nostro Sistema solare». Oltre ai due astrofisici, quindi, nel team c’è ancheGonzalo Gonzalez Abad, un esperto di inquinamento industriale nell’atmosfera terrestre.

Proprio grazie al JWST i ricercatori potrebbero essere in grado di rilevare due tipi di clorofluorocarburi, composti chimici contenenti cloro, fluoro e carbonio, indicati con la sigla CFC, contenuti in solventi e prodotti spray che distruggono lo strato dell’ozono. «Le molecole che consideriamo come CFC sono quelle responsabili del riscaldamento globale sulla Terra», ha spiegato Loeb.« Una di queste molecole, il tetrafluorometano (CF4), può rimanere nell’aria anche per 50.000 anni, mentre altre non arrivano a 10 anni o anche meno». Un’altra molecola facile da rivelare sarà iltriclorofluorometano (CCI3F). «Se troveremo solo le prove di molecole durature, questo può indicare che stiamo guardando le rovine di una civiltà che è andata distrutta. In questo caso potrebbe servirci da lezione per non continuare a distruggere il nostro pianeta e la sua atmosfera».

Il James Webb Space Telescope: il lancio è previsto per il 2018

Il piano è ambizioso. L’unico problema finora rilevato dagli esperti è che il James Webb Space Telescope  può rilevare solo le sostanze inquinanti presenti attorno a un pianeta simile alla Terra che circonda una stella nana bianca, vale a dire ciò che resta quando una stella come il nostro Sole muore. Cercare molecole inquinanti su un pianeta simile alla Terra ma che orbita intorno a una stella simile al Sole richiederebbe uno strumento molto superiore a JWST – un telescopio di “next-next-generation”.

Loeb ha calcolato che «JWST può catturare le impronte spettrali dei clorofluorocarburi su pianeti extrasolari con un’inquinamento industriale dieci volte più grande di quello sulla Terra».

A Media INAF Loeb spiega come si svolgerà lo studio: «Immaginate un pianeta che orbita intorno alla sua stella madre: se stiamo osservando la stella da lontano in direzione del piano orbitale, vedremo che il pianeta passa davanti alla stella in maniera regolare (ed è così che spesso vengono scoperti i pianeti, ndr). In quel momento una frazione della luce della stella passa attraverso l’atmosfera del pianeta dirigendosi verso di noi; la luce viene assorbita dagli atomi o dalle molecole nell’atmosfera del pianeta, che ha una impronta spettrale associata alle lunghezze d’onda con cui assorbe la luce. Misurando lo spettro della luce che passa attraverso l’atmosfera del pianeta possiamo studiare nel dettaglio la composizione della sua atmosfera. Per quanto riguarda le nane bianche, che hanno una dimensione paragonabile a quella della Terra, l’occultazione di luce da parte di un pianeta, orbitante la fascia abitabile, sarebbe decisamente superiore, rendendo la sfida più abbordabile».

Ed ecco dunque perché fare ricerche del genere sui numerosi sistemi planetari orbitanti nane bianche, può essere più produttivo. «Una nana bianca con un’età di qualche miliardo di anni – ha detto Loeb – ha un colore simile a quello del Sole ed è molto probabile che la vita si sviluppi su un pianeta vicino ad essa soprattutto se si trova nella zona abitabile, cioè ad una distanza tale che la temperatura della stella riesca a mantenere l’acqua allo stato liquido. Essendo 100 volte più piccola del Sole, la fascia di abitabilità della nana bianca si troverà 100 volte più vicino rispetto alla distanza Sole-Terra. È come se ci volessimo scaldare con una piccola fiamma: bisogna andare sempre più vicino».

Dunque la ricerca della vita passa per varie strade, il che dimostra perché non sia facile trovarla. Per anni si è atteso un segnale radio proveniente da un altro pianeta, d’altronde sembrava il metodo più semplice. L’umanità infatti da quando è nata la radio emette segnali che viaggiano nel cosmo, la cosiddetta bolla di Berlusconi. E dalla rivoluzione industriale immette nell’atmosfera gas inquinanti. Insomma se nella nostra galassia c’è qualche altro sconsiderato, può essere che lo troviamo.

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30 luglio 2014 3 30 /07 /luglio /2014 19:05

Sono fra gli ingredienti tipici della dieta mediterranea, non a caso in alcune zone del nostro Paese se ne producono in quantità e fanno parte della tradizione culinaria per le ricette più varie. Ma le mandorle sono anche e soprattutto uno “spezzafame” gustoso, sano, con mille qualità insospettabili. Uno spuntino a base di mandorle, infatti, fra le altre cose, aiuta a tenere sotto controllo la glicemia e anche il girovita, stando ad alcuni studi sull’argomento presentati all’ultimo congresso dell’American Society of Nutrition. Una ricerca condotta sulle abitudini di circa 25mila statunitensi ha dimostrato che il consumo regolare di questo tipo di frutta secca si associa a un più elevato introito di nutrienti “sani” e a un’alimentazione più equilibrata. Uno studio sui diabetici ha documentato che circa 40 grammi al giorno di mandorle aiutano a tenere sotto controllo l’appetito, abbassano un po’ la glicemia e non fanno ingrassare; un’indagine condotta su pazienti con il colesterolo alto ha provato che la stessa quantità di mandorle, mangiata al di fuori dai pasti principali, riduce il girovita e non ha effetti sul peso, al contrario di uno spuntino con le stesse calorie ma ricco di carboidrati.

Ma attenzione: il segreto sta nella moderazione, come spiega Antonio Caretto, responsabile dell’Unità di endocrinologia, malattie metaboliche e nutrizione clinica dell’ospedale Perrino di Brindisi e segretario dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI). «Bisogna riuscire a controllarsi con le dosi: con 30-35 grammi si prendono già 200 calorie, che in una dieta ipocalorica possono fare la differenza - sottolinea l’esperto -. Tuttavia, in un’alimentazione equilibrata uno snack a base di mandorle non fa ingrassare, anzi: come confermano questi ultimi studi, proprio se consumate lontano dai pasti principali le mandorle migliorano parametri metabolici che si alterano nella fase della digestione, per esempio la glicemia. Questo contribuisce a spiegare perché, in un’ampia ricerca condotta di recente in Spagna, il consumo quotidiano di circa 15 grammi di noci e di altri 15 grammi fra nocciole e mandorle si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di diabete di tipo due, ma anche di patologie cardiovascolari e tumori». La “giusta quantità” di mandorle è dunque, secondo gli esperti, pari a circa 40 grammi al giorno, suddivisi magari in uno spuntino al mattino e in uno da consumare al pomeriggio: è questo lo “schema” che sembra offrire i maggiori vantaggi. Lo conferma anche una sperimentazione che ha coinvolto alcune donne in gravidanza, dimostrando come lo spuntino con la frutta secca aiuti a contenere l’aumento di peso durante i nove mesi dell’attesa.

 

 

«È possibile grazie alla capacità delle mandorle di ridurre il senso di fame e favorire la sazietà - spiega Caretto -. L’ideale è mangiarle associate a noci e nocciole, perché ciascuno di questi frutti ha caratteristiche diverse. Le mandorle hanno un potere antiossidante inferiore a quello di noci e nocciole, ma sono più ricche di vitamina E (una “dose” di 30-40 grammi ne contiene oltre 7 milligrammi, ndr) e di proteine vegetali (6-8 grammi nella porzione quotidiana, ndr)». Proprio le proteine sono responsabili del potere saziante delle mandorle, che inoltre sono un’ottima fonte di acidi grassi insaturi “buoni” (fra i 13 e i 17 grammi nella razione giornaliera) e di minerali, come il magnesio e il potassio. Il tutto a fronte di un basso indice glicemico: una scelta perfetta per uno snack senza sensi di colpa, insomma. «Naturalmente non si deve credere che le mandorle siano “miracolose”, così come non si dovrebbe mai demonizzare nessun cibo. Se mangiamo una manciata di mandorle come spuntino, ma poi ci rimpinziamo di schifezze, tutti gli effetti positivi possibili si azzerano» fa notare Antonio Caretto. «Detto ciò - conclude l’esperto -, i più golosi possono perfino concedersi ogni tanto qualche dolce tradizionale a base di pasta di mandorle. Se non si tratta di dolci che contengono molto zucchero, possono essere un peccato di gola meno dannoso di altri dessert».

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29 luglio 2014 2 29 /07 /luglio /2014 14:42

È sotto accusa la politica tedesca per l’infanzia. I genitori che non mandano i figli all’asilo nido pubblico ricevono dallo Stato 100 euro al mese: questo ha spinto molte famiglie povere o immigrate a rinunciare ad asilo e (spesso) possibilità di impiego per la madre in cambio dei 100 euro sicuri e subito. Che da questo agosto salgono a 150.

Ma andiamo con ordine. Dal 1 agosto dell’anno scorso le famiglie che rinunciano a mandare i figli all’asilo nido ricevono un assegno mensile di 100 euro, a partire dal quindicesimo mese di vita dei piccoli e fino al terzo anno. Adesso, 12 mesi dopo la partenza della nuova politica, l’ ”Istituto tedesco della gioventù” e l’Università di Dortmund hanno realizzato un sondaggio su un campione di 100 mila genitori. Ne è uscito che il 54% dei padri e delle madri senza un titolo di studio universitario non manda i figli al nido per ricevere l’assegno a tre cifre. La percentuale crolla ai livelli di istruzione superiori: 14% tra i genitori laureati e 8% tra i docenti universitari.

Le differenze proseguono tra le famiglie immigrate e quelle di estrazione tedesca: il 25% delle prime ha scelto l’opzione “figli a casa” per incassare i soldi, contro il 13% delle seconde. Eppure – sottolineano i commentatori – sarebbero proprio le famiglie straniere ad aver bisogno degli asili nido per una migliore integrazione dei figli.

Il dibattito è poi proseguito anche su altri fronti più prettamente pedagogici: c’è per esempio chi sostiene – soldi o no – che i primi tre anni di vita un bambino debba passarli a casa vicino a uno dei genitori, nel caso il padre o la madre possano permettersi di non lavorare. E qui l’assegno può aiutare. Ma – ribattono i critici – siccome normalmente è la mamma più che il papà a restare a casa, allora può succedere che qualche madre abbia rinunciato a cercare un lavoro – magari sottopagato, magari ultraprecario – in cambio di 100-150 euro al mese, più la possibilità di stare con il proprio figlio, più i risparmi sulla baby sitter. Così, alla fine, la politica per l’infanzia si sarebbe trasformata in una mossa che non aiuta la promozione della donna nel mondo del lavoro. E tutto questo nonostante in Germania la situazione occupazionale sia decisamente migliore rispetto, per esempio, a quella italiana

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25 luglio 2014 5 25 /07 /luglio /2014 11:40

 

storia,archeologia,svezia

La Marte oggi, sul fondale del mar Baltico, dove affondò nel 1564. Il sommozzatore che si vede in alto a destra dà un'idea delle dimensioni del relitto.  
Immagine composita di Tomasz Stachura, Ocean Discovery

1564: nel corso del secondo giorno di una violenta battaglia navale, una nave da guerra si trasformò in una palla di fuoco e colò a picco, consegnando per sempre centinaia di marinai svedesi e tedeschi ai fondali del Mar Baltico insieme a un'immensa fortuna in monete d'oro e d'argento. La leggenda narra che uno spettro salisse dalle viscere dell'inferno per sorvegliare che la nave - orgoglio della marina svedese - non venisse scoperta. 

Cacciatori di tesori, archeologi e appassionati di storia hanno cercato la Mars per anni senza successo. Fino alla primavera del 2011, quando un gruppo di sub localizzò a 75 metri di profondità i resti del vascello, in quella che presto si confermò essere una delle più grandi scoperte di archeologia marittima. 

"È l'anello che ci mancava" dice Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all'università di Södertörn in Svezia, che attualmente sta studiando il relitto di 60 metri di lunghezza. Se gli storici navali sanno quasi tutto sulle navi del Diciassettesimo secolo, le conoscenze delle navi da guerra del Sedicesimo secolo sono invece molto limitate. E il 1500 - continua Rönnby - è un periodo molto 
importante perché è proprio in quest'epoca che si cominciarono a costruire le grandi navi da guerra a tre alberi. 

Il professore spiega come questa prima generazione di navi a tre alberi abbia nella Marte uno dei migliori esempi. In passato i ricercatori hanno già ritrovato i carichi delle prime navi da guerra chiamate galeoni - imbarcazioni appena successive a quelle di cui fa parte la Marte. Sono stati anche trovati resti di navi come la Mary Rose, battente bandiera inglese, che si inabissò durante una battaglia navale nel 1545. Tuttavia, non era mai stato ritrovato nulla di così ben conservato come la Marte. 

Questa scoperta è il punto culminante di 20 anni di ricerca condotta da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di sommozzatori professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi. Richard ha operato fianco a fianco con il fratello Ingemar e il loro collega Fredrik Skogh. I tre sognavano di ritrovare la Marte dal giorno in cui - da bambini - visitarono il museo di Stoccolma nel quale è esposta un'altra icona della marina militare svedese: il Vasa. Se Richard e Ingemar sono diventati subacquei professionisti, lo si deve anche a quel sogno. 

Una macchina da guerra 

La Marte affondò il 31 maggio del 1564 al largo dell'isola svedese di Öland. È rimasta a riposare sul fondale inclinata a tribordo (a destra). A conservare la nave in buone condizioni è stato un mix di coincidenze positive: pochi sedimenti, correnti piuttosto lente, acqua salmastra e l'assenza di un mollusco chiamato teredo navaliscapace - in altri oceani - di far collassare i relitti in legno nel giro di appena cinque anni. 

A rendere ancora più eccitante la scoperta, dice Lundgren, è che non furono né difetti di costruzione né errori di navigazione a far naufragare la Marte: "La Marte era una vera macchina da guerra che in battaglia si comportava egregiamente", spiega Lundgren. La nave affondò stracarica di cannoni - ce n'erano persino sulle coffe - marinai e tutto l'armamentario che serviva ad equipaggiare una nave per la guerra (compresi otto diversi tipi di birra). Secondo Lundgren l'imbarcazione poteva contare su una potenza di fuoco "mai vista" per i suoi tempi. E proprio quei cannoni furono la rovina della Marte. 


La zona del Mar Baltico dove è stato individuato il relitto
Ng Staff, Jamie Hawk. Source: Richard Lundgren, Ocean Discovery


Un impetuoso canto del cigno 

La nave colò a picco mentre stava ingaggiando una battaglia con un'imbarcazione danese alleata con soldati tedeschi provenienti dalla città di Lubecca. Nel primo giorno di battaglia gli svedesi incalzarono i danesi. Così, il secondo giorno, i tedeschi decisero il tutto per tutto. Rönnby racconta che le forze tedesche presero a scagliare palle infuocate contro la Marte e alla fine riuscirono ad affiancarsi quel tanto che bastava per andare all'arrembaggio. La polvere da sparo di cui era stipata la nave scatenò un inferno e il calore divenne così intenso che i cannoni iniziarono ad esplodere. Furono proprio queste esplosioni a far inabissare la nave. 
La tradizione, però, narra una storia leggermente diversa. Rönnby spiega che i sovrani svedesi, all'epoca, erano impegnati a consolidare la propria posizione. "Ma la chiesa cattolica, potente com'era, costituiva un grosso ostacolo". Proprio nel tentativo di sminuire il potere della Chiesa, re come Erik XIV - colui che commissionò la Marte - confiscarono le campane delle chiese, le fusero e utilizzarono il metallo per forgiare i cannoni delle navi da guerra. A bordo c'erano oltre  cento cannoni di svariate dimensioni.Secondo il mito, proprio la "nuova vita" forzata di quelle che erano soltanto campane, portò la nave verso la rovina. 

Una macchina del tempo 

"Non è solo una nave. È un autentico campo di battaglia", dice Rönnby. 
Immergendosi e nuotando sul relitto "ci si sente vicinissimi al drammatico incendio che si scatenò a bordo, mentre i marinai si uccidevano a vicenda e tutto intorno bruciava ed esplodeva". Infatti, quando Lundgren e i suoi colleghi portarono in superficie un pezzetto di scafo, notarono subito che il legno emanava un leggero odore di bruciato. 
Lundgren, Ingemar e Skogh stanno aiutando Rönnby a ispezionare il luogo del ritrovamento, mettendo insieme - pezzo per pezzo - un fotomosaico e scansionando il relitto per produrre delle riproduzioni tridimensionali. Grazie ai fondi della National Geographic Foundation, quest'estate lavoreranno per completare le scansioni di tutta la nave. La loro intenzione è quella di lasciare la Marte sul fondo del mare utilizzando foto e riproduzioni 3D per condividere il relitto con tutto il mondo. Portare una nave in superficie è costoso e può metterne a repentaglio i manufatti. I laser scanner utilizzati da Lundgren e i suoi colleghi hanno una precisione entro i due millimetri. Più che sufficiente per soddisfare la maggior parte dei ricercatori in giro per il mondo. Secondo Rönnby, se non fosse per questi strumenti e questi metodi avanzati gli archeologi non sarebbero stati in grado di studiare la Marte così nel dettaglio. Ora, invece, è possibile ricostruire gli ultimi istanti della nave e degli uomini che erano a bordo e farsi un'idea di come ci si muoveva e ci si comportava durante una battaglia navale. "Questo, alla fine, è lo scopo dell'archeologia: mettere in discussione noi stessi e i risvolti umani di una scoperta", conclude Rönnby
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25 luglio 2014 5 25 /07 /luglio /2014 10:39


Ti svegli nel mezzo della notte sentendo strani rumori? Sì, può far paura, specialmente se non capisci da dove arrivano. Ora pensa che questi rumori vengono da dentro di te. La maggior parte delle persone rimarrebbe sbalordita di una simile affermazione. Molti di noi non sanno neanche che i nostri organi interni possono produrre rumore.

Vediamo se hai effettivamente udito tali rumori oppure no, e se li hai uditi, da dove provengono. Innanzitutto, lasciati dire – si, li hai sentiti. No, non sono il risultato di una mente creativa che si è sognata tutto. Ma detto ciò è anche vero che non c’è una fonte da cui provengono tali rumori. Allora che cos’è? Confuso?
E’ un classico caso di acufene.

Che cos’è l’acufene?

Quello che hai vissuto la notte scorsa (o ti sei appena svegliato e hai acceso il computer) è un classico caso di acufene. Si tratta di un disturbo medico in cui la persona sente ogni tipo di strani scricchiolii, ronzii, brusii, fischi o sibili all’orecchio. Ciò che è così preoccupante di questa malattia è che non c’è una sorgente di tali rumori. A peggiorare il tutto è che nessun altro li sente. Francamente queste persone non possono essere biasimate. Se non puoi vedere da dove proviene il suono e continui a sentirlo ti riempi di agitazione.

Nell’acufene i suoni uditi dalla persona sono di fatto percezioni. Visto che non c’è una fonte reale sono spesso definiti come “rumori fantasma”. Ti aiuta sapere che circa l’8% della popolazione degli USA soffre di acufenis? Forse no, ma almeno sai che non sei l’unico a sentire questi strani rumori.

Che cosa causa questi rumori?

Sicuramente vuoi sapere perchè senti tali rumori. ma prima di conoscere questo dovresti sapere che l’acufene non è una malattia vera e propria. E’ il sintomo di un problema dalla radice profonda da qualche parte nel tuo corpo.

Il problema potrebbe essere semplicemente un’infezione dell’orecchio o, ancora più semplice, semplicemente cerume. Elimina il cerume e tratta l’infezione per vedere se i rumori scompaiono. Per alcuni può essere anche un effetto collaterale di qualche farmaco. O potrebbe essere più complicato.

Alcuni hanno l’acufene perchè la coclea è danneggiata. E per alcuni può essere causata da un indebolimento dell’udito. ma naturalmente la causa più comune degli acufeni è l’esposizione ad un forte rumore. Questo rumore può essere un’esplosione improvvisa o un suono costante che colpisce le orecchie come un tamburo e vi fa il suo ingresso. Se le orecchie sono sottoposte ad un grande trambusto ci sarà sicuramente un prezzo da pagare. Questo prezzo è l’acufene.

Naturalmente i rumori dell’acufene non si sentono solo di notte. Li puoi sentire anche durante il giorno. Ma si ha l’impressione che peggiorino di notte. Alcune persone sperimentano rumori che vanno e vengono. Per altri i rumori sono costanti.

Curare l’acufene

E’ quasi impossibile convivere con l’acufene ma non devi farlo. Se senti tali rumori, sia costanti o intermittenti, devi cercare subito una cura. Purtroppo i trattamenti convenzionali trattano solo i sintomi dell’acufene dando solo sollievo temporaneo. E’ sicuro che i rumori torneranno.

L’unico modo per sbarazzarsi per sempre degli acufeni è seguire un approccio di cura olistico. Utilizzando un trattamento multidimensionale per l’acufene, affrontiamo tutti i fattori che lo causano,eliminando alla radice questi elementi scatenanti. Questa è l’unica strada per ottenere una libertà definitiva dall’acufene.

Questo articolo è basato sul libro “Miracolo per Acufeni” di Thomas Coleman. Thomas è uno scrittore, ricercatore, specialista dell’alimentazione e consulente di salute che ha dedicato la sua vita a trovare la soluzione definitiva agli acufeni garantendo di eliminarli in modo definitivo sradicandone la causa e migliorando significativamente la qualità di vita generale, senza ricorrere a farmaci o operazioni chirurgiche.

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24 luglio 2014 4 24 /07 /luglio /2014 12:13

MISURARSI CON I CARBOIDRATI

Imparare a misurare i carboidrati aiuta a gestire la glicemia

Per capire meglio sotto quale forma i carboidrati si “nascondono” negli alimenti, proviamo a paragonarli all’idea di una grande “famiglia”.

In questo caso possiamo dire che i carboidrati di distinguono in tre “gruppi di fratelli”: quello più complesso dei polisaccaridi, composti dall’unione di zuccheri semplici e derivati, come l’amido; quello intermedio deidisaccaridi, formati da due molecole di zuccheri, come il lattosio; quello semplice dei monosaccaridi, equivalenti a una sola molecola di zucchero, come il glucosio.

I carboidrati, quindi, entrano nel sangue attraverso cereali, patate, zucchero, frutta e latte, ma ogni alimento viene metabolizzato in maniera differente, in base al “gruppo di fratelli” di appartenenza.

 

Questione di metabolizzazione

Gli zuccheri semplici, come il lattosio, raggiungono l’intestino e passano direttamente nel sangue; mentre i disaccaridi e i polisaccaridi hanno bisogno di un ulteriore passaggio per giungere a destinazione. È infatti necessario uno step successivo che scinde le molecole più complesse in unità più piccole: ciò vuol dire che i carboidrati contenuti nelle patate, nel riso e nella pasta hanno bisogno di più fasi per compiere il loro accesso nel sangue.

I diabetici, attenti nell’assunzione dei carboidrati, sanno che ogni “gruppo” provoca un diverso aumento della glicemia, la quale deve essere sempre tenuta d’occhio.

Pertanto è importante conoscere l’indice glicemico (IG) di ogni cibo, ossia il valore di crescita della glicemia dopo la digestione di un determinato alimento a base di carboidrati. Ovviamente i valori possono variare da una persona a un’altra, ma è inteso che più alto è l’indice glicemico, maggiore e più rapido è l’effetto di aumento della glicemia.

 

A cosa serve il carico glicemico?

Per avere un’idea più precisa dei carboidrati assunti, può essere utile conoscere anche il carico glicemico(CG), ossia il rapporto tra l’indice glicemico e il risultato del prodotto di 100 per i carboidrati contenuti in ogni porzione. Se si vuole mantenere basso il livello della glicemia, conviene quindi preferire alimenti con un carico glicemico inferiore a 7 oppure consumare piccole quantità di cibi con un carico glicemico superiore a 7.

Per concludere: la tabella qui sopra può essere uno strumento di riferimento utile per una corretta assunzione giornaliera della grande “famiglia” dei carboidrati. Facciamo un esempio: la mattina a colazione preferite i cornflakes oppure i muesli? Sono simili, peccato che i cornflakes abbiamo un carico glicemico pari a 10 e i muesli pari a 5, ossia esattamente la metà! Se sapete che la vostra glicemia tende ad aumentare nei pasti successivi, allora conviene mangiare i muesli, purché non  abbiano zuccheri aggiunti, oli vegetali, aromi e conservanti.

Bisogna fare attenzione all’etichetta sulla confezione per evitare di prendere muesli di difficile digeribilità e soprattutto ricchi di zuccheri.

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  • : Blog di lalchimista
  • : Sono poeta,scrittore e saggista,esperto in tappetologia,quindi questo spazio sarà dedicato a queste mie passioni,chi ama la paesia o i tappeti orientali troverà tanti consigli utili e la consulenza gratuita per i vostri tappeti perchè sono convinto che chi è in possesso di conoscenze tecnico-scientifiche le deve mettere a disposizione di tutti,altrimenti è come se non fossi mai vissuto una volta morto. Sono reperibile su flyngcarpet@hotmail.it
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