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18 luglio 2012 3 18 /07 /luglio /2012 11:44

Forse non vi capiterà più in questa vita di assistere ad uno spettacolo eccezionale che non si verifica da moltissimo tempo, la pioggia di meteore chiamate Draconidi che avverrà il prossimo 8 ottobre.

Se possedete una camera CCD astronomica, molte volte più sensibile di ogni reflex digitale, vi consiglio di utilizzarla perché sicuramente vi consentirà di catturare molte più meteore. Naturalmente la camera CCD dovrà essere dotata di un obiettivo fotografico di corta focale, al massimo di 25-30 millimetri. La scelta dell’obiettivo dipende criticamente dal formato del vostro sensore; anche in questo caso il modo migliore per arrivare preparati consiste nel fare prove preliminari.

Una ripresa allsky effettuata con CCD.

Se non possedete un obiettivo adatto, potete ricavarne uno economico e di discreta qualità (se il sensore non è troppo grande) utilizzando un oculare di media focale, meglio se di diametro di 50,8 mm. Personalmente ho trovato molto vantaggioso l’uso di un semplice Ploss da 25 mm di focale, con un rapporto focale conseguente pari a f/0,85, che mi ha permesso di riprendere meteore, con la mia camera CCD ST-7XME, di magnitudine superiore alla +5.

La parte più complicata consiste nel costruire il supporto adatto per avvicinare l’oculare al sensore e regolare la messa a fuoco, ma con un po’ di nastro adesivo e cartoncino diventa tutto piuttosto semplice e sorprendentemente stabile. L’uso di una camera CCD può naturalmente essere complementare a quello della digicam, anche perché gli effetti sono molto diversi: le reflex digitali riprendono con un campo più vasto e a colori, mentre l’unico punto di forza delle camere CCD è la grande sensibilità, a scapito del lato estetico. Ma registrare un evento unico e forse irripetibile per noi esseri umani.

Un’attività alternativa e per certi versi più spettacolare (e complicata) prevede la registrazione di alcuni video attraverso delle sensibili videocamere già utilizzate da molti astrofili specializzati nella rilevazione e studio delle meteore. Una delle videocamere più utilizzate si chiama Mintron, di moda fino a qualche anno fa come autoguida per le riprese a lunga posa o per l’imaging deepsky.

Benché il sensore sia molto più piccolo di quello delle reflex digitali, l’uso di obiettivi dalla cortissima focale (5-8 mm, reperibili facilmente anche su eBay) restituisce un campo di diverse decine di gradi e consente di riprendere filmati che mostrano il movimento di meteore più luminose della magnitudine 3-3,5. Una volta acquisiti dei filmati a cavallo dei picchi previsti, nella fase di elaborazione si potranno scegliere i frame che hanno registrato le meteore e comporre un video che mostrerà in modo spettacolare tutta l’evoluzione dell’evento.

Se la pioggia si dovesse mostrare davvero importante come sembra, non sarà neanche necessario fare la selezione dei frame, ma semplicemente accelerare il corso del filmato costruendo un bellissimo time-lapse. Inoltre, se si dovesse sentire l’esigenza di un’immagine che mostri le scie di tutte le meteore registrate, sarà sufficiente mediare i singoli frame dei filmati, proprio come fanno gli astrofotografi planetari.
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18 luglio 2012 3 18 /07 /luglio /2012 10:39

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E’ un’emergenza: la Banca del Germoplasma di Bari è ad altissimo rischio!
I semi di 84.000 campioni di piante agrarie ed affini d’inestimabile valore stanno morendo

 

Banca del Germoplasma di Bari

La Banca del Germoplasma del CNR di Bari, fondata nel 1970, si trova in una condizione di altissimo rischio. È l’unica in Italia, la seconda in Europa e tra le prime dieci nel mondo su un totale di 1470. Conserva 84.000 accessioni (campioni) di germoplasma, appartenenti a più di 60 generi e più di 600 specie di piante coltivate e specie selvatiche affini (parenti strette di quelle coltivate), minacciate da erosione genetica e/o estinzione. Lo scopo di questa lettera è di evidenziare l’importanza del germoplasma per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, e conseguentemente di far comprendere perché sono nate le banche del germoplasma, perché la Banca del Germoplasma di Bari è ad altissimo rischio e perché bisogna intervenire per salvarla.
 

Germoplasma, rivoluzione verde, sistemi agricoli e perdita di agrobiodiversità

Il germoplasma vegetale conservato nelle banche di germoplasma è costituito principalmente da semi di vecchie varietà di cereali, leguminose, ortive, foraggiere e piante medicinali. Questo patrimonio genetico è stato reperito in tutto il mondo, principalmente nei Centri di Origine delle piante coltivate (aree geografiche dove le piante coltivate sono state addomesticate per la prima volta) perché minacciato da erosione genetica e/o estinzione. Le vecchie varietà, in realtà, sono  delle popolazioni (insieme di individui geneticamente diversi appartenenti alla stessa specie), ritenute non molto produttive, ma caratterizzate da una base genetica larga, che a partire dalla Rivoluzione Verde (anni Quaranta e Cinquanta) sono state sostituite da varietà moderne (costituite da individui geneticamente molto simili), ritenute più produttive, ma caratterizzate da una base genetica molto ristretta e concepite per sistemi agricoli industriali, ad alto impatto ambientale e/o alto input energetico (arature profonde ed uso eccessivo di fertilizzanti chimici, antiparassitari, erbicidi, irrigazioni, ormoni ed altri inquinanti, uso della monocoltura, ecc.). Con la Rivoluzione Verde i sistemi agricoli industriali hanno incominciato a prevalere su quelli tradizionali, oggi ribattezzati sistemi ecocompatibili o sostenibili ed a basso impatto ambientale e/o basso input energetico (arature poco profonde, uso moderato di irrigazioni, ricorso a fertilizzanti naturali, lotta biologica ai parassiti delle piante e controllo delle malerbe con metodi naturali, uso di prodotti poco o non inquinanti, pratica della policoltura, ecc.). La Rivoluzione Verde ha spazzato via una miriade di vecchie varietà sostituendole con poche varietà moderne, determinando una notevole perdita di agrobiodiversità. Si calcola che, specialmente nei Paesi più interessati dalla Rivoluzione Verde, sono scomparse per sempre dal 60 al 90% delle vecchie varietà delle piante agrarie più comuni.

L’agricoltura biologica produce quanto se non di più dell’agricoltura industriale

È ormai noto che produrre di più con i sistemi agricoli industriali non significa affatto realizzare un reddito più alto. Produrre di più può anche costare ed inquinare di più. Ma è vero che serve produrre di più? Il problema della fame nel mondo (con’è noto) è più un problema di distribuzione del cibo e della ricchezza che un problema di quantità di alimenti. Inoltre, recenti studi di gruppi di ricerca internazionali, confermati dalla FAO, mostrano che le aziende agricole che adottano sistemi a basso impatto ambientale, come l’agricoltura biologica, producono quanto se non di più delle aziende agricole che adottano sistemi ad alto impatto ambientale. Pertanto, quando si afferma che la Rivoluzione Verde era l’unico modo per aumentare le rese (produzioni per ettaro) e quindi l’unico modo per evitare ulteriori disboscamenti si dicono delle grandi bugie. Le produzioni per ettaro possono essere aumentate anche con tecniche agricole a basso impatto ambientale. È un fatto ormai incontestabile. Eppure, c’è ancora chi si ostina a voler difendere la Rivoluzione Verde, enfatizzando l’incremento delle produzioni agricole ottenuto. Non è nemmeno vero che con la Rivoluzione Verde sono diminuiti disboscamento e deforestazione. L’incremento nel mondo della deforestazione, della perdita di biodiversità e della monocoltura, alimentato dalle multinazionali, con la collaborazione di cattivi governi e gruppi di ricerca che ricevono finanziamenti, è un fenomeno abbastanza noto e di cui se ne parla sempre e molto, anche se si fa ben poco per ridurlo o bloccarlo completamente. Una cosa è certa: il futuro appartiene a forme di agricoltura biologica a basso impatto ambientale.
 
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17 luglio 2012 2 17 /07 /luglio /2012 20:49

 


Una delle mummie Frankestein scoperte in Scozia (Mike Parker Pearson/University of Sheffield)

La notizia è di quelle che fanno venire la pelle d'oca: un team di ricercatori dell' Università di Mancherster ha recentemente scoperto in Scozia due corpi mummificati vecchi di 3000 anni, che sono in realtà composti dai resti di sei persone diverse. Si tratta insomma di due mummie Frankenstein. 
I misteriosi reperti sono stati trovati a Cladh Hallan, un sito archeologico che si trova su un'isola a Sud Est delle coste scozzesi, e si tratta delle prime mummie mai rinvenute nel Regno Unito. 

Horror preistorico

Le analisi condotte sul DNA delle ossa e la loro datazione con il metodo degli isotopi hanno permesso di scoprire che le mummie sono state assemblate e tumulate 600 anni dopo la morte delle diverse persone. Ma qual è il significato di questi macabri manufatti? 
Secondo Terry Brown, il ricercatore responsabile del progetto, la risposta potrebbe essere semplice: le ossa “nuove” sono state utilizzate per sostituire alcune parti mancanti o deteriorate dei cadaveri originali. 
Un suo collega, Mike Parker Pearson dell' Università di Sheffield, si spinge invece oltre, ipotizzando che l'unione di più antenati in un unico corpo fosse un modo per rappresentare il legame tra due o più famiglie. E visto che all'epoca le terre si tramandavano per linea di sangue, queste strane mummie potevano essere l'equivalente di un moderno certificato di proprietà, insomma un rogito in chiave noir. 
«Unire i resti di defunti diversi poteva essere visto come la rappresentazione dell'unione tra due o più famiglie e della loro progenie» spiega Pearson, «e poteva essere il gesto che precedeva passi molto più pratici come la costruzione di grandi case dove due o più gruppi avrebbero vissuto insieme».
Gli archeologi si aspettano di trovare sull'isola altre mummie Frankenstein: in realtà sono già stati scoperti numerosi corpi mummificati, ma solo l'analisi del DNA potrà dire se i resti appartengono una o più persone.

 

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16 luglio 2012 1 16 /07 /luglio /2012 10:49

 

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Finalmente è giunto il momento: è stato scoperto il primo pianeta extrasolare simile alla Terra e per giunta è anche relativamente vicino a noi. E stato chiamato Gliese 581.

Il numero di stelle attorno a cui sono stati scoperti dei pianeti ha ormai superato la soglia di 200. Finora però si trattava di pianeti di tipo “gioviano”, con masse e dimensioni dell’ordine di quelle del gigante del Sistema Solare. Adesso, è giunto l’annuncio della scoperta del primo pianeta di tipo terrestre che orbita attorno ad una stella, che, potremmo dire, si trova sulla porta di casa.

 

Si tratta di Gliese 581, una piccola e fredda nana rossa, situata in direzione della costellazione della Bilancia e che dista da noi poco più di 20 anni luce. La sua massa è circa il 30% di quella del Sole, ed essendo meno calda la sua luminosità è circa 50 volte inferiore.Uno dei motivi che già nel 2005 avevano reso molto interessante questa piccola stella fu la scoperta attorno ad essa di uno dei pianeti extrasolari più vicini a noi, che fu battezzato Gliese 581 b, si trattava anche di uno degli esopianeti più piccoli fra tutti quelli che erano finora noti.

 

La sua massa è infatti pari a circa 20 volte quella della Terra, mentre le sue dimensioni sono paragonabili a quelle di Urano e Nettuno (circa 50.000 km), dai quali però si differenzia per l’estrema vicinanza alla stella compagna: appena 6 milioni di km, con un periodo di rivoluzione di soli 5 giorni e mezzo.Tutti i record sono però stati battuti dal nuovo pianeta appena scoperto, le cui dimensioni sono soltanto 1,5 volte quelle della Terra ed una massa circa 5 volte superiore.

La distanza da Gliese 581 è 14 volte inferiore a quella che separa il nostro pianeta dal Sole (poco meno di 11 milioni di km), mentre la durata dell’anno di questo esopianeta è di soli 13 giorni.

 

Secondo le stime fatte dagli scopritori, la temperatura media su questo pianeta dovrebbe essere compresa tra 0 e 40 °C, si troverebbe quindi nella cosiddetta “zona di abitabilità”, la regione attorno ad una stella in cui l’acqua può essere presente allo stato liquido.

Sulla base dei modelli messi a punto dal gruppo di astronomi, dovrebbe trattarsi di un pianeta roccioso, come la Terra, e forse interamente ricoperto da un oceano. Questi risultati rendono la scoperta ancor più eccitante, poiché l’acqua è uno degli elementi essenziali per lo sviluppo di forme di vita simili a quelle che noi conosciamo. 

 

La scoperta è stata fatta con il telescopio da 3,6 m di apertura dell’Osservatorio Australe Europeo (La Silla, Cile), utilizzando un sofisticatissimo spettrometro, uno dei più precisi e accurati per dare la caccia ai pianeti extrasolari.

È chiaro che la relativa vicinanza e le sue condizioni di temperatura simili a quelle della Terra renderanno questo esopianeta un obiettivo importantissimo per le future missioni spaziali che avranno come obiettivo la ricerca di eventuali forme di vita extraterrestri. Ma le sorprese che ci sta riservando questa piccola stella rossa non sembrano essere finite. Esistono infatti forti indizi che attorno a Gliese 581 sia presente un terzo pianeta la cui massa dovrebbe essere pari a circa 8 volte quella della Terra. 

 

Scoperte come queste sono comunque destinate ad aumentare, grazie all’entrata in funzione di telescopi orbitanti, come il francese /Corot/ già al lavoro da pochi mesi, ed altre missioni in programma da parte della NASA e dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

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15 luglio 2012 7 15 /07 /luglio /2012 19:54

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http://bzzvid.com/7068 inserirlo nel browser prego.

 

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15 luglio 2012 7 15 /07 /luglio /2012 19:54

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14 luglio 2012 6 14 /07 /luglio /2012 20:26

 

Sembrerebbe di si secondo un articolo molto interessate dell'Espresso che ha svolto un sondaggio tra le lavoratrici del volante di automezzi pesanti.

Sono più di duemila le lavoratrici nel settore dell'autotrasporto, un numero basso rispetto agli uomini ma in crescita. 'Dobbiamo dimostrare qualcosa in più per guadagnare la fiducia dei colleghi, ma se si lavora seriamente poi si viene trattate come i maschi'

(11 luglio 2012)

Orari massacranti, con la sveglia che suona quando la notte non ha ancora lasciato spazio al giorno. E poi chilometri da macinare, merci da consegnare in tempo, servizi non sempre ottimali e le difficoltà di un settore colpito dalla crisi, con circa 7mila imprese attive nell'autotrasporto che hanno chiuso i battenti negli ultimi due anni. Quella del camionista è una vita dura, e per farla serve impegno e una forte passione. Qualità che sono sempre più anche femminili. 

Nonostante tutti i luoghi comuni che descrivono l'attività dell'autotrasporto come non adatta alle donne, l'"ondata rosa" che ha invaso strade e autostrade italiane non accenna a fermarsi. Secondo i dati della Camera di Commercio di Monza e Brianza sarebbero oltre 2mila, il 3 per cento del totale, le donne alla guida dei tir che girano per il paese. 

Le donne che si mettono alla guida costituiscono un universo variegato, con storie, idee ed opinioni diverse anche sul loro stesso lavoro. Un osservatorio privilegiato sul loro mondo è il "Buona Strada Lady Truck Driver Team", un gruppo "per chi ha guidato, per chi lo sta facendo e per chi sogna di farlo". Uno zoccolo duro di circa 120 autiste, alle quali si aggiungono amici e simpatizzanti, che si riuniscono in un blog nel quale si scambiano impressioni sulla vita e sul proprio mestiere. Ma il team non si limita all'impegno online: i membri infatti organizzano raduni e attività di beneficenza, come un calendario e la mostra fotografica "Donne e camion", e svolgono un'opera di sensibilizzazione sulle problematiche professionali, sicurezza stradale in primis. 

«Verso le donne all'inizio c'è quella diffidenza che suscitano sempre le situazioni nuove e inusuali - spiega Gisella Corradini, 45enne modenese, autotrasportatrice dal 1994 e portavoce del team - noi dobbiamo sempre dimostrare qualcosa in più degli altri per guadagnare la fiducia di colleghi e magazzinieri. Ma se si lavora seriamente poi si viene trattate come gli uomini». Senza nessuna particolare preoccupazione per la sicurezza personale: «Sul camion non si è più insicure che in altri lavori. Certo, c'è il problema delle rapine e per strada puoi incontrare qualche svitato, ma questo può succedere anche in ditta». Mani ben fisse sul volante, quindi, anche se il pensiero spesso corre a casa: «Ho una figlia di 24 anni, e sicuramente con i ritmi di questo lavoro si rischia di perdere alcuni momenti importanti. Bisogna impegnarsi per valorizzare al massimo il tempo a disposizione, e io credo di esserci riuscita».  

Compromessi con la vita privata che ha ben presenti anche la 31enne Marianna Dal Degan, un'autista con un sogno nel cassetto: sfondare nel mondo dello spettacolo. Il suo camion, sul quale trasporta scarti della lavorazione dell'acciaio, è inconfondibile, con una grande foto dei suoi occhi verdi sul davanti ed altre due sue immagini ai lati, e l'ha resa una piccola celebrità sulle strade del Veneto e del nord Italia. «Ho iniziato a guidare otto anni fa, dopo essere stata responsabile di reparto in una fabbrica - racconta - i primi tempi sono stati duri, ma poi con l'aumentare delle donne al volante le cose sono migliorate». Anche se un tarlo nel cervello è rimasto: «Questo non è un lavoro femminile, sono la prima a dirlo. Sto bene sul camion, ma devo ammettere che talvolta mi sento fuori posto e non mi vedo a fare questo mestiere molto a lungo». E così si divide tra le consegne, con sveglia alle 3.30 del mattino, i casting, i corsi di portamento e di look e una passione speciale, la danza del ventre: «Faccio spettacoli di danza orientale, la fotomodella e anche la presentatrice ai concerti. Non mi fermo mai». Una determinazione premiata da un recente successo, l'ingresso tra le 30 finaliste di "Miss Patata 2012", concorso di bellezza organizzato da una nota marca di patatine. 

Altre volte si è spinte a salire sul camion dalla voglia di viaggiare e vedere posti sempre nuovi, una passione di famiglia: «Mio padre faceva il marinaio - dice Patrizia Crivello, 43enne palermitana di origine ma ora trasferitasi vicino a Milano - e io ho seguito un po' le sue orme, anche se ho preferito muovermi via terra. Non è un lavoro semplice, ma quando ti appassiona non ti accorgi più dei problemi». Autista da 10 anni, con un marito che svolge lo stesso lavoro («anche se all'inizio non voleva che facessi questo mestiere»), la Crivello ha sempre trasportato prodotti alimentari in tutta Italia, fino allo scorso marzo, quando la ditta per cui lavorava ha chiuso e lei è rimasta senza lavoro.
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    14 luglio 2012 6 14 /07 /luglio /2012 11:06

     

    img incastonatore di gemme

     

    Praticamente è la tecnologia che si ispira alla natura e ai suoi processi. Cosi spiega Carlo Santulli docente di ingegneria all'Università La Sapienza di Roma e autore del libro "Biomimetica"


    In tempi in cui si inizia a pensare alle risorse del pianeta come a qualcosa di limitato e prezioso, le lezioni del mondo vegetale e animale vengono tenute in particolare conto per cercare di ottenere la massima efficienza energetica, minimizzando al contempo gli scarti di produzione. 

    Uno dei principali guru della biomimetica è la statunitense Janine Benyus, fondatrice del Biomimicry 3.8 Institute di Missoula, nel Montana, che invita a guardare alla natura più che come a un serbatoio di materie prime da sfruttare, come a una fonte di saggezza frutto di una numero infinito di prove e tentativi. 
    "Dobbiamo capire", dice Benyus, "che noi esseri umani non siamo i primi a costruire, i primi a produrre carta, a cercare di ottimizzare lo spazio, a sviluppare materiali impermeabili, a costruire case per i nostri piccoli. La natura ha alle spalle 3,8 miliardi di anni di ricerca e sviluppo, in confronto ai 200 mila da quando è apparso l'homo sapiens". 

    Qualche esempio di prodotti già esistenti derivati dalla biologia? La vernice autopulente ispirata alle foglie di loto, l'adesivo il cui meccanismo di fissaggio replica il modo in cui il geco si attacca alle superfici con milioni di minuscole setole, i display degli schermi di alcuni lettori di libri elettronici in cui il colore è prodotto dal passaggio della luce attraverso membrane riflettenti e rifrangenti, come accade in natura alla farfalla Morpho

    Possono esserci due approcci principali per l'innovazione derivata dalla natura. Il primo è quello di partire dall'osservazione di un fenomeno biologico e applicarne i meccanismi a un problema di design. Un esempio ne è la ricerca, effettuata negli anni Novanta dal docente di Scienza delle Piante Wilhelm Barthlott all'Università di Bonn, appunto sulle foglie del loto. Osservandone al microscopio la superficie, Barthlott scoprì che queste foglie non sono lisce, come potrebbe sembrare, ma sono ricoperte da migliaia di piccole scaglie, su cui la polvere e le impurità non riescono a fare presa e vengono perciò trascinate via dalla pioggia. Barthlott ebbe l'idea di commercializzare questa scoperta applicandola a una serie di prodotti, di cui il rivestimento "autopulente" Lotusan per le facciate delle case, è forse l'esempio più famoso. 

    L'altro approccio, speculare, è quello di partire da una sfida di progettazione di un artefatto umano, e cercarne la soluzione nel mondo naturale. E' il caso del progetto del EastGate Centre di Harare, in Zimbabwe, realizzato dall'architetto Mick Pearce traendo spunto dal modo in cui le termiti costruiscono i loro caratteristici nidi "a pinnacolo", la cui temperatura rimane pressoché costante nonostante il caldo torrido diurno e il fresco delle notti. Pearce studiò il sistema di ventilazione dei nidi delle termiti per creare un edificio il cui sistema di climatizzazione "naturale", basato su una serie di ventole di sfiati, consuma solo il 10 per cento di un analoga costruzione dotata di un sistema di raffreddamento tradizionale.

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    13 luglio 2012 5 13 /07 /luglio /2012 18:14

    Secondo il calendario dei Maya finisce il 20 dicembre 2012. Per molti, il giorno seguente, il 21, sarà la fine del mondo: delle peggiori. In più tempeste magnetiche, un misterioso pianeta, l'inversione dei poli... Che cosa c'è di vero in queste voci? Analizziamo queste previsioni.

    Uxmal, Messico. Tra le rovine dell'antica civiltà Maya, la Piramide dell'Indovino. I Maya era abili astronomi.
    Uxmal, Messico. Tra le rovine dell'antica civiltà Maya, la Piramide dell'Indovino. I Maya era abili astronomi.

    Il 20 dicembre 2012. Per quel giorno non prendete appuntamenti. Non affannatevi per i regali di Natale. Tutto inutile. Quel giorno sarà l’ultimo. Poi il mondo finirà, in grande stile: eruzioni vulcaniche, tsunami, tempeste magnetiche, uragani devastanti, radiazioni dallo spazio, la comparsa di un fantomatico pianeta scateneranno l’apocalisse.
    Questo è quanto prevedono centinaia di siti, qualche decina di libri, una serie di trasmissioni televisive che su questa profezia strabiliante hanno fatto valanghe di denaro e avvinto gli appassionati del mistero.  Ma è vero? Noi crediamo di no, ne siamo sicuri, e vorremmo smontare, una per una, tutte queste tesi.

    Ma andiamo con ordine. Cosa c’è alla base della convinzione che nel 2012 il mondo finirà? Ecco i principali eventi prospettati, ma la rivista Focus li definisce tutte stupidaggini.


    1. Il 20 dicembre 2012 si concluderà il ciclo del “lungo Computo” del calendario Maya. 
    2. Il giorno successivo a tale data, ci sarà il solstizio d’inverno e il Sole si troverà in una rara posizione: allineato con il centro della Via Lattea, un evento che non si ripete da 26mila anni.
    3. Nel 2012, inoltre, l’attività solare avrà un picco e ci aspettano tempeste solari in grado di paralizzare la nostra società.
    4. Il polo nord e il polo sud potrebbero invertirsi.
    5. Il 21 dicembre 2012 un pianeta misterioso (pianeta X, o Nibiru) la cui orbita è al di là di Plutone si scontrerà con la Terra.
    6. Il vulcano di Yellowstone negli USA erutterà nuovamente… con effetti catastrofici.
    7. Alcuni scienziati russi hanno scoperto che il sistema solare è entrata in una nube spaziale che sta stimolando e destabilizzando il Sole e le atmosfere dei pianeti.

    Ma non basta. I profeti di sventura aggiungono a tutte queste cause anche la lettura esoterica della Genesi  (il primo libro della Bibbia) e dello Yi Jing (il libro dei mutamenti dell'antica Cina). Passando, ovviamente, anche attraverso le profezie di Nostradamus e le piramidi di Giza.
    Proviamo a capire se intorno a queste teorie di catastrofe c’è qualche aspetto di verità e scientificità o c’è soltanto un business molto remunerativo. 

     

    Il primo punto: finisce il calendario Maya. Il popolo americano aveva sviluppato un’approfondita conoscenza della matematica (avevano il concetto dello zero) e dell’astronomia. Per misurare il tempo si servivano di 3 calendari. Il Tzolk’in, un calendario molto antico di tipo religioso, prevedeva 260 giorni; poi c’era un calendario stagionale, seguiva il sole e durava 365 giorni; infine c’era il calendario noto come ilLungo Computo. Durava 1.872.000 giorni (5.125 anni circa). È proprio questo che si chiuderà nel dicembre 2012.

    C’è da preoccuparsi? 
    «Per gli antichi Maya giungere al termine del ciclo rappresenta una grande festa» spiega Sandra Noble, direttrice della Fondazione per il progresso degli studi mesoamericani di Crystal River (Usa). Un po’ come succede per noi, che festeggiamo la fine e l’inizio dell’anno, senza pensare che sia la fine del mondo. Considerare la fine del Lungo Computo come la fine del mondo o un cambiamento cosmico «è un’invenzione e la possibilità per molti di guadagnare soldi» continua Noble.

    Che cosa succederà? 
    Non tutti i siti e libri dedicati al 2012 concordano su cosa debba succedere di preciso alla “fine” del calendario Maya: una fermata di 72 ore della rotazione della Terra, un’inversione dei poli magnetici terrestri, un conflitto nucleare, un’epidemia d’influenza, l’impatto di un asteroide, l’esplosione di una supernova oppure un più sobrio “cambiamento spirituale”. «Già questa varietà estrema di scenari dovrebbe far riflettere su quanto siano precise le previsioni di questi autori» spiega Paolo Attivissimo, esperto di bufale online. «Non possono avere ragione tutti quanti».

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    12 luglio 2012 4 12 /07 /luglio /2012 20:04

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