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7 gennaio 2015 3 07 /01 /gennaio /2015 10:05

Inclusioni di magnesio-cromite in un diamante (Canovaro/Indimedea)

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Non tutti i diamanti sono cristalli trasparenti di carbonio purissimo i cui atomi si dispongono secondo un disegno ottaedrico perfetto. Alcuni sono piccoli e brutti, spesso anche di forme cubiche, e contenenti inclusioni che ne fanno abbassare il valore come gemma, ma danno loro un immenso valore scientifico. I minerali che inglobano raccontano l’evoluzione del nostro pianeta, come per esempio i diamanti super-profondi, così chiamati perché provenienti tra i 410 e i mille chilometri di profondità, trovati nei giacimenti brasiliani del Mato Grosso.

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«Uno di questi in particolare ha attirato l’attenzione dei geologi», dice Fabrizio Nestola, professore associato di mineralogia al dipartimento di geoscienze dell’Università di Padova. «Analizzato in laboratorio con tecniche di diffrazione a raggi X e spettroscopia Raman, ha dimostrato di avere un’inclusione molto piccola, di 0,04 millimetri di diametro, composta da ringwoodite, un particolare tipo di olivina scoperto in una meteorite nel 1969 e che finora non era mai stato rinvenuto sulla Terra».

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La ringwoodite, infatti, era stata sintetizzava solo in laboratorio miscelando ad alte pressioni ossigeno, magnesio e silicio. Ma come si poteva essere certi che quel frustolino trovato dentro un diamante costituisse la prova tanto cercata dai geologi, e che cioè la ringwoodite esisteva anche all'interno della Terra a 400-600 km di profondità? Grazie alle onde sismiche e ad altri esperimenti - che avevano dimostrato che alle pressioni e alle temperature presenti a quelle profondità si può formare solo quel minerale - c'era la prova che la ringwoodite era un minerale reperibile allo stato naturale anche sul nostro pianeta.

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La ringwoodite ritrovata in quel diamante ha dato anche un’altra importante informazione. Analizzandola con attenzione, i ricercatori hanno scoperto che il suo reticolo cristallino contiene circa l'1,4% di acqua (più correttamente, il gruppo ossidrilico -OH). Segno che a 400-600 km di profondità, nella zona dove si suppone si sia formata, si può stimare un contenuto totale di acqua nei reticoli cristallini dei minerali presenti pari a cinque volte il volume di tutti gli oceani sulla superficie della Terra. «Si è allora compreso che i diamanti naturali, grazie alle inclusioni che possono contenere, sono autentici tesori per capire cosa avviene alle profondità ( 1.000-1.200 km) che non è possibile raggiungere», spiega Nestola.

Le inclusioni dei diamanti sono l’unico, diretto e inalterato campione disponibile del mantello, la parte della Terra che inizia sotto la crosta e arriva al confine del nucleo esterno. «Poiché sono incapsulate e protette dalla chimica inerte dei diamanti, le inclusioni ci danno un quadro reale della composizione e di cosa avviene tra 150 e 700 km di profondità e di cosa è avvento tra 3,5 e 1 miliardo di anni fa quando i diamanti si sono formati», prosegue Nestola. Per studiare nel dettaglio profondità e meccanismo di crescita dei diamanti attraverso le inclusioni è partito da un anno il progetto europeo Indimedea, che studia diamanti contenenti inclusioni di olivina provenienti dai giacimenti russi. Indimedea si propone di rispondere a due domande: le inclusioni si sono formate insieme ai diamanti o questi ultimi si sono formati dopo e poi hanno inglobato minerali pre-esistenti?

Nel primo caso i diamanti sarebbero un diretto e chiaro esempio dell’ambiente e del tempo geologico in cui si sono formati. Nel secondo la situazione sarebbe più complessa. Ma a quali valori di temperatura e pressione le inclusioni hanno attratto i diamanti? Dai risultati preliminari ottenuti si evince che l’intrappolamento diamante-olivina è avvenuto a 170 km di profondità.

I diamanti sono oggi al centro di numerosi studi che stanno dando interessanti risultati. Una ricerca ha dimostrato che la lonsdaleite, soprannominata «diamante esagonale» mentre i diamanti più comuni sono ottaedrici, in realtà non è un minerale a se stante come finora si credeva, ma un diamante «difettoso». La lonsdaleite fu trovata per la prima volta in un cratere d’impatto meteroritico in Arizona circa 50 anni fa. «Da allora è stata ritenuta un indicatore d’impatti di asteroidi», dice Nestola. «Tuttavia qualcosa non tornava. Grazie a esperimenti e a osservazioni di laboratorio è stato possibile dare finalmente una risposta». In uno studio pubblicato di recente su Nature Communications è stato scoperto che la struttura della lonsdaleite è composta da interruzioni nella disposizione regolare degli atomi di carbonio. Tutti questi difetti visibili al microscopio elettronico permettono di sostenere che la lonsdaleite sia un diamante dalla falsa morfologia esagonale sviluppatosi per geminazione: il diamante da cui si è originato, a bassa energia, ha creato gemelli ripetuti di se stesso, ma difettosi nella forma.

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