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Sono poeta,scrittore e saggista,esperto in tappetologia,quindi questo spazio sarà dedicato a queste mie passioni,chi ama la paesia o i tappeti orientali troverà tanti consigli utili e la consulenza gratuita per i vostri tappeti perchè sono convinto che chi è in possesso di conoscenze tecnico-scientifiche le deve mettere a disposizione di tutti,altrimenti è come se non fossi mai vissuto una volta morto. Sono reperibile su flyngcarpet@hotmail.it

La Banca del Germoplasma a rischio.

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E’ un’emergenza: la Banca del Germoplasma di Bari è ad altissimo rischio!
I semi di 84.000 campioni di piante agrarie ed affini d’inestimabile valore stanno morendo

 

Banca del Germoplasma di Bari

La Banca del Germoplasma del CNR di Bari, fondata nel 1970, si trova in una condizione di altissimo rischio. È l’unica in Italia, la seconda in Europa e tra le prime dieci nel mondo su un totale di 1470. Conserva 84.000 accessioni (campioni) di germoplasma, appartenenti a più di 60 generi e più di 600 specie di piante coltivate e specie selvatiche affini (parenti strette di quelle coltivate), minacciate da erosione genetica e/o estinzione. Lo scopo di questa lettera è di evidenziare l’importanza del germoplasma per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, e conseguentemente di far comprendere perché sono nate le banche del germoplasma, perché la Banca del Germoplasma di Bari è ad altissimo rischio e perché bisogna intervenire per salvarla.
 

Germoplasma, rivoluzione verde, sistemi agricoli e perdita di agrobiodiversità

Il germoplasma vegetale conservato nelle banche di germoplasma è costituito principalmente da semi di vecchie varietà di cereali, leguminose, ortive, foraggiere e piante medicinali. Questo patrimonio genetico è stato reperito in tutto il mondo, principalmente nei Centri di Origine delle piante coltivate (aree geografiche dove le piante coltivate sono state addomesticate per la prima volta) perché minacciato da erosione genetica e/o estinzione. Le vecchie varietà, in realtà, sono  delle popolazioni (insieme di individui geneticamente diversi appartenenti alla stessa specie), ritenute non molto produttive, ma caratterizzate da una base genetica larga, che a partire dalla Rivoluzione Verde (anni Quaranta e Cinquanta) sono state sostituite da varietà moderne (costituite da individui geneticamente molto simili), ritenute più produttive, ma caratterizzate da una base genetica molto ristretta e concepite per sistemi agricoli industriali, ad alto impatto ambientale e/o alto input energetico (arature profonde ed uso eccessivo di fertilizzanti chimici, antiparassitari, erbicidi, irrigazioni, ormoni ed altri inquinanti, uso della monocoltura, ecc.). Con la Rivoluzione Verde i sistemi agricoli industriali hanno incominciato a prevalere su quelli tradizionali, oggi ribattezzati sistemi ecocompatibili o sostenibili ed a basso impatto ambientale e/o basso input energetico (arature poco profonde, uso moderato di irrigazioni, ricorso a fertilizzanti naturali, lotta biologica ai parassiti delle piante e controllo delle malerbe con metodi naturali, uso di prodotti poco o non inquinanti, pratica della policoltura, ecc.). La Rivoluzione Verde ha spazzato via una miriade di vecchie varietà sostituendole con poche varietà moderne, determinando una notevole perdita di agrobiodiversità. Si calcola che, specialmente nei Paesi più interessati dalla Rivoluzione Verde, sono scomparse per sempre dal 60 al 90% delle vecchie varietà delle piante agrarie più comuni.

L’agricoltura biologica produce quanto se non di più dell’agricoltura industriale

È ormai noto che produrre di più con i sistemi agricoli industriali non significa affatto realizzare un reddito più alto. Produrre di più può anche costare ed inquinare di più. Ma è vero che serve produrre di più? Il problema della fame nel mondo (con’è noto) è più un problema di distribuzione del cibo e della ricchezza che un problema di quantità di alimenti. Inoltre, recenti studi di gruppi di ricerca internazionali, confermati dalla FAO, mostrano che le aziende agricole che adottano sistemi a basso impatto ambientale, come l’agricoltura biologica, producono quanto se non di più delle aziende agricole che adottano sistemi ad alto impatto ambientale. Pertanto, quando si afferma che la Rivoluzione Verde era l’unico modo per aumentare le rese (produzioni per ettaro) e quindi l’unico modo per evitare ulteriori disboscamenti si dicono delle grandi bugie. Le produzioni per ettaro possono essere aumentate anche con tecniche agricole a basso impatto ambientale. È un fatto ormai incontestabile. Eppure, c’è ancora chi si ostina a voler difendere la Rivoluzione Verde, enfatizzando l’incremento delle produzioni agricole ottenuto. Non è nemmeno vero che con la Rivoluzione Verde sono diminuiti disboscamento e deforestazione. L’incremento nel mondo della deforestazione, della perdita di biodiversità e della monocoltura, alimentato dalle multinazionali, con la collaborazione di cattivi governi e gruppi di ricerca che ricevono finanziamenti, è un fenomeno abbastanza noto e di cui se ne parla sempre e molto, anche se si fa ben poco per ridurlo o bloccarlo completamente. Una cosa è certa: il futuro appartiene a forme di agricoltura biologica a basso impatto ambientale.
 
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